L'avviso orale con cui la Questura di Palermo ha intimidito e continua a intimidire Pietro Milazzo è un atto grave e inquietante che, senza nulla togliere alla doverosa solidarietà a Pietro, va ben al di là del suo caso personale, né è leggibile in chiave meramente personalistica, legato cioè al singolo individuo.
Grave e inquietante perché tali sono questi nostri tempi bui. L'impatto ancora da registrare appieno sulla economia reale dell'esplosione della "mongolfiera" finanziaria – così la tipicizzava Riccardo Petrella in un seminario palermitano una decina di anni orsono – inciderà sulla vita quotidiana di milioni di persone allargando ancor di più la forbice tra ricchi e poveri, tra chi ha e chi non ha, tra chi accede a beni e servizi e chi sarà tagliato fuori. Il degrado morale della società civile è un orizzonte che non colpisce "fatalmente" solo i paesi del terzo mondo avvitati in una spirale di violenza infinita, ma si abbatterà senza tanti veli di ipocrisia sulle nostre società, esaltando la forza bruta e reattiva del razzismo diffuso, della volgarità culturale, dell'imbarbarimento televisivo con cui tenere buone le masse, mentre la rivolta disperata di ogni banlieu incendierà le metropo li europee, da Parigi ad Atene.
Gli stati, indeboliti nella loro sovranità di fronte alla globalizzazione, si preoccupano di salvare gli interessi del capitalismo che li foraggia caricando i costi di queste operazioni sulle spalle dei lavoratori, degli studenti, dei precari, ecc. approfondendo così le divisioni e le disuguaglianze sociali ed economiche nel tentativo di garantire la pace sociale attraverso politiche caritatevoli e sicuritarie che rafforzano e inaspriscono una biopolitica poliziesca di controllo "postfascistizzante". Del resto, le misure da stato di polizia, quali quelle rievocate dal Questore di Palermo nella motivazione dell'Avviso orale a Pietro, hanno sempre convissuto in modo carsico con gli istituti della democrazia, senza contraddizione ma come riserva da selezionare opportunisticamente ogni qualvolta si avverte la loro necessità, tanto da governi di centro-sinistra (Napoli 2001 e sentenza TAR Napoli 9587 del 2007), quanto da governi di centro-destra (Genov a 2001 e relative sentenze su Bolzaneto e Diaz).
Ci sembra pertanto pericoloso e ingenuo scandalizzarsi per l'ovvio nesso autoritario tra lo stato di polizia e gli atti della magistratura in un contesto democratico sempre più formale-elettoralistico e sempre meno sostanziale-deliberativo – nel senso che nella politica dello spettacolo mediatico vengono meno le risorse culturali diffuse a tutti/e e a ciascuno idonee per una sana capacità di lettura, partecipazione e decisione intorno alla cosa pubblica: in tal senso va letto l'attacco al mondo della scuola e dell'università (pur con le innegabili responsabilità nel non aver mantenuto le promesse di reale accesso al sapere).
Solo Berlusconi finge di pensare a mo' di propaganda che la magistratura sia rossa e schierata a fianco dei deboli. In realtà lo stato liberal-democratico è sin dall'inizio tutto "Law & Order", grazie alla sinergia costitutiva e per nulla episodica di potere politico, ordine poliziesco e tutela giudiziaria. La nozione di "individuo pericoloso", riservata a Pietro Milazzo (e verrebbe da ridere se appunto la cosa non fosse grave e inquietante), risale alla psichiatria forense del XIX secolo e, come ci ricorda Foucault, è sempre stata tirata in ballo per ogni ragione di disciplina e di controllo. Oggi lo stato di eccezione diventa politica quotidiana. Questo è il destino delle democrazie mature nel XXI secolo in ogni angolo del pianeta, né abbiamo il lusso di poter pensare che lo stato italiano possa sfuggire a tale dinamica.
Così come si rivela per quel che è sempre stato, ossia illusorio e fittizio, lo spazio pre-politico della mediazione del conflitto sociale, nel quale e col quale legare le tensioni sociali agli equilibri ballerini e mutevoli dei giochi infra-istituzionali, smorzando la radicalità di quella che un tempo si chiamava non a caso la questione sociale con le anime belle e impotenti di chi ancora crede al proprio ruolo di fedele servitore delle istituzioni volte al bene comune. Illusorio e fittizio perché la politica delle e nelle istituzioni è chiamata a definire ciò che è bene comune in rapporto alla loro occupazione clientelare-affaristica, definendo quindi l'agenda politica di un ente locale, ad esempio, non in base alle priorità dei problemi da risolvere, bensì in ragione delle più o meno misere prebende da spartire tra clan più o meno visibili.
Mediare in tali condizioni significa illudere e illudersi che la politica istituita possa miracolosamente farsi politica istituente, ossia diretta a dare soluzioni ai problemi dei cittadini e delle cittadine, mentre solo la pratica dell'autogoverno senza compromissioni con le autorità costituite può garantire una forza tale da costringere la politica a piegarsi ad agende costruite dal basso e non in luoghi invisibili. La situazione palermitana, e degli enti locali nella fattispecie, è indicativa del divorzio inesorabile tra istituzioni e società, e adoperarsi per ricucirlo significa porsi nell'ambito pre-politico dell'ascesa carrieristica in questo o quel clan politico-affaristico della città e della regione, con legami im/previsti con la criminalità organizzata da sempre attivo parassita del vincente di turno.
Ci rendiamo conto che qualche riga non può esaurire una lettura più generale cui collegare l'affaire in cui è coinvolto, suo malgrado, Pietro Milazzo. Ma ci rendiamo altresì conto che tale affaire non può essere affrontato solo in termini lamentosi di una aspettativa democratica improvvisamente tradita o abusata da una autorità tutto sommato limitata come un banale questore di un capoluogo di regione meridionale. Al di là della doverosa difesa sul piano amministrativo-giudiziario che Pietro sceglierà di intraprendere, riteniamo doveroso rispondere in termini politici ad una situazione grave e inquietante, ribadiamo, che ha tutti i contorni per un caso politico da affrontare attraverso la costituzione, quanto meno a Palermo, di un Comitato politico di difesa che si ponga all'altezza della sfida lanciata alla città.
In tal senso, ci dichiariamo aperti a un confronto in questa prospettiva, convinti che gli spazi di libertà non siano a priori legali ma si strappano e si difendono con la tenacia e la resistenza di un corpo collettivo.
COORDINAMENTO ANARCHICO PALERMITANO
Palermo, gennaio 2009