sabato 21 febbraio 2009

DA LAMPEDUSA ISOLA-LAGER UN GRIDO DI LIBERTÀ

La recente rivolta scoppiata nel campo di internamento per immigrati dell’isola di Lampedusa è il risultato della ferocia repressiva con cui il governo italiano pretende di gestire il fenomeno dell’immigrazione. Questa ferocia si esprime nelle leggi razziste, nei decreti di urgenza che sono diventati la normalità amministrativa, nel tentativo di far sprofondare questo paese in una specie di “dittatura democratica”.
Forti con i deboli e deboli con i forti, i servi dello stato hanno deciso di eliminare i poveri, gli immigrati, i dannati della Terra. A Lampedusa, solo pochi giorni fa, una pattuglia di poliziotti ha aggredito e pestato per la strada un uomo a sangue freddo. Dopo averlo mandato all’ospedale, le guardie si sono giustificate dicendo che lo avevano scambiato per un clandestino scappato dal Centro di identificazione.

Questa è l’Italia plasmata a immagine e somiglianza dei potenti. Un paese incattivito, che scarica tutte le sue frustrazioni sugli immigrati incolpandoli di tutto: criminalità, furti, stupri, crisi. Ma quelli che governano mentono sapendo di mentire, perché non dicono che la crisi economica è frutto del capitalismo, del suo sistema fatto di sprechi e di privilegi per pochissimi mentre a rimetterci sono sempre e soltanto tutti gli altri: lavoratori, pensionati, disoccupati, immigrati.

I paesi più sviluppati non fanno altro che scaricare sul resto del mondo il costo del loro benessere. In questi tempi di crisi internazionale, chi è nato nel terzo mondo tenta il tutto per tutto; la gente emigra perché ha bisogno, emigra perché non intende morire di fame. Ecco perché la prospettiva di essere rimpatriati li fa impazzire: ecco perché a Lampedusa gli immigrati hanno scatenato la rivolta. L’ennesima in Italia, l’ennesima in tutta Europa.

In un mondo devastato dalle guerre e della povertà – quasi sempre causate proprio dai governi occidentali – c’è una massa di disperati che chiede soltanto la possibilità di avere un futuro.
Si rassegnino i politicanti di ogni colore: l’immigrazione non può essere fermata perché è proprio la voglia di vivere che non può essere arrestata!

Noi siamo dalla parte di tutti i senza potere, di tutti gli oppressi, di tutti quelli che non ce la fanno – senza distinzioni di nazionalità. Non facciamo differenza tra italiani e immigrati perché i veri nemici non sono gli immigrati ma tutti coloro che si ingrassano alle spalle della povera gente, quelli che ci affamano, quelli che ci incatenano e ci ricattano con la precarietà, la disoccupazione, la mancanza di prospettive.

Per uscire dalla crisi bisogna, intanto, fare uno sforzo: aprire gli occhi e metterci nei panni di chi sta peggio di noi. Allora capiremo che la solidarietà, il rispetto della libertà e la comprensione dei bisogni degli altri sono il primo passo per rivoltarci contro coloro che ci rendono la vita impossibile: gli stati e il capitalismo, anzitutto.

COORDINAMENTO ANARCHICO PALERMITANO

venerdì 6 febbraio 2009

Coordinamento Anarchico Palermitano

Diversi compagni anarchici palermitani, alcuni dei quali, militanti della sezione “ Delo Truda” Federazione dei Comunisti Anarchici di Palermo, del Nucleo "Giustizia e libertà" della Federazione Anarchica Siciliana e del gr. "Failla" della Federazione Anarchica Italiana, hanno deciso di intraprendere un intervento cittadino comune per specifiche convergenze sotto la denominazione di “Coordinamento Anarchico Palermitano”.

In effetti, già da tempo era in atto un sentire comune su determinati temi del conflitto sociale che aveva posto le basi per azioni politiche e interventi di lotta condivisi e comuni.

LIBERTÀ O LEGALITÀ

L'avviso orale con cui la Questura di Palermo ha intimidito e continua a intimidire Pietro Milazzo è un atto grave e inquietante che, senza nulla togliere alla doverosa solidarietà a Pietro, va ben al di là del suo caso personale, né è leggibile in chiave meramente personalistica, legato cioè al singolo individuo.

Grave e inquietante perché tali sono questi nostri tempi bui. L'impatto ancora da registrare appieno sulla economia reale dell'esplosione della "mongolfiera" finanziaria – così la tipicizzava Riccardo Petrella in un seminario palermitano una decina di anni orsono – inciderà sulla vita quotidiana di milioni di persone allargando ancor di più la forbice tra ricchi e poveri, tra chi ha e chi non ha, tra chi accede a beni e servizi e chi sarà tagliato fuori. Il degrado morale della società civile è un orizzonte che non colpisce "fatalmente" solo i paesi del terzo mondo avvitati in una spirale di violenza infinita, ma si abbatterà senza tanti veli di ipocrisia sulle nostre società, esaltando la forza bruta e reattiva del razzismo diffuso, della volgarità culturale, dell'imbarbarimento televisivo con cui tenere buone le masse, mentre la rivolta disperata di ogni banlieu incendierà le metropo li europee, da Parigi ad Atene.

Gli stati, indeboliti nella loro sovranità di fronte alla globalizzazione, si preoccupano di salvare gli interessi del capitalismo che li foraggia caricando i costi di queste operazioni sulle spalle dei lavoratori, degli studenti, dei precari, ecc. approfondendo così le divisioni e le disuguaglianze sociali ed economiche nel tentativo di garantire la pace sociale attraverso politiche caritatevoli e sicuritarie che rafforzano e inaspriscono una biopolitica poliziesca di controllo "postfascistizzante". Del resto, le misure da stato di polizia, quali quelle rievocate dal Questore di Palermo nella motivazione dell'Avviso orale a Pietro, hanno sempre convissuto in modo carsico con gli istituti della democrazia, senza contraddizione ma come riserva da selezionare opportunisticamente ogni qualvolta si avverte la loro necessità, tanto da governi di centro-sinistra (Napoli 2001 e sentenza TAR Napoli 9587 del 2007), quanto da governi di centro-destra (Genov a 2001 e relative sentenze su Bolzaneto e Diaz).

Ci sembra pertanto pericoloso e ingenuo scandalizzarsi per l'ovvio nesso autoritario tra lo stato di polizia e gli atti della magistratura in un contesto democratico sempre più formale-elettoralistico e sempre meno sostanziale-deliberativo – nel senso che nella politica dello spettacolo mediatico vengono meno le risorse culturali diffuse a tutti/e e a ciascuno idonee per una sana capacità di lettura, partecipazione e decisione intorno alla cosa pubblica: in tal senso va letto l'attacco al mondo della scuola e dell'università (pur con le innegabili responsabilità nel non aver mantenuto le promesse di reale accesso al sapere).

Solo Berlusconi finge di pensare a mo' di propaganda che la magistratura sia rossa e schierata a fianco dei deboli. In realtà lo stato liberal-democratico è sin dall'inizio tutto "Law & Order", grazie alla sinergia costitutiva e per nulla episodica di potere politico, ordine poliziesco e tutela giudiziaria. La nozione di "individuo pericoloso", riservata a Pietro Milazzo (e verrebbe da ridere se appunto la cosa non fosse grave e inquietante), risale alla psichiatria forense del XIX secolo e, come ci ricorda Foucault, è sempre stata tirata in ballo per ogni ragione di disciplina e di controllo. Oggi lo stato di eccezione diventa politica quotidiana. Questo è il destino delle democrazie mature nel XXI secolo in ogni angolo del pianeta, né abbiamo il lusso di poter pensare che lo stato italiano possa sfuggire a tale dinamica.

Così come si rivela per quel che è sempre stato, ossia illusorio e fittizio, lo spazio pre-politico della mediazione del conflitto sociale, nel quale e col quale legare le tensioni sociali agli equilibri ballerini e mutevoli dei giochi infra-istituzionali, smorzando la radicalità di quella che un tempo si chiamava non a caso la questione sociale con le anime belle e impotenti di chi ancora crede al proprio ruolo di fedele servitore delle istituzioni volte al bene comune. Illusorio e fittizio perché la politica delle e nelle istituzioni è chiamata a definire ciò che è bene comune in rapporto alla loro occupazione clientelare-affaristica, definendo quindi l'agenda politica di un ente locale, ad esempio, non in base alle priorità dei problemi da risolvere, bensì in ragione delle più o meno misere prebende da spartire tra clan più o meno visibili.

Mediare in tali condizioni significa illudere e illudersi che la politica istituita possa miracolosamente farsi politica istituente, ossia diretta a dare soluzioni ai problemi dei cittadini e delle cittadine, mentre solo la pratica dell'autogoverno senza compromissioni con le autorità costituite può garantire una forza tale da costringere la politica a piegarsi ad agende costruite dal basso e non in luoghi invisibili. La situazione palermitana, e degli enti locali nella fattispecie, è indicativa del divorzio inesorabile tra istituzioni e società, e adoperarsi per ricucirlo significa porsi nell'ambito pre-politico dell'ascesa carrieristica in questo o quel clan politico-affaristico della città e della regione, con legami im/previsti con la criminalità organizzata da sempre attivo parassita del vincente di turno.

Ci rendiamo conto che qualche riga non può esaurire una lettura più generale cui collegare l'affaire in cui è coinvolto, suo malgrado, Pietro Milazzo. Ma ci rendiamo altresì conto che tale affaire non può essere affrontato solo in termini lamentosi di una aspettativa democratica improvvisamente tradita o abusata da una autorità tutto sommato limitata come un banale questore di un capoluogo di regione meridionale. Al di là della doverosa difesa sul piano amministrativo-giudiziario che Pietro sceglierà di intraprendere, riteniamo doveroso rispondere in termini politici ad una situazione grave e inquietante, ribadiamo, che ha tutti i contorni per un caso politico da affrontare attraverso la costituzione, quanto meno a Palermo, di un Comitato politico di difesa che si ponga all'altezza della sfida lanciata alla città.

In tal senso, ci dichiariamo aperti a un confronto in questa prospettiva, convinti che gli spazi di libertà non siano a priori legali ma si strappano e si difendono con la tenacia e la resistenza di un corpo collettivo.


COORDINAMENTO ANARCHICO PALERMITANO

Palermo, gennaio 2009